Articolo apparso sul quotidiano "La Sicilia" del 21 Novembre 2002.
Sicilia-India, sul filo della solidarietà
Il legame fra una famiglia catanese e un prete indiano.
Da un incontro su un treno la svolta di un seminarista lontano da casa.
Un filo sottile ma indissolubile di solidarietà
corre tra Catania e l'India: un filo che si è dipanato da un incontro
fortuito nel 1995 su un treno di sofferenza e speranza sul quale si è
compiuto il "miracolo" del calore di una "famiglia" per un sacerdote
indiano lontano dal suo paese. La "famiglia adottiva" è quella di
Giovanni Maugeri, docente di Economia e Politica Agraria all'Università
Etnea scomparso dieci anni fa, composta oggi dalla "mamma" Antonella
Spartà Maugeri, dal "fratello" Giuseppe e dalla "sorella" Myriam.
Una famiglia che si è allargata in maniera singolare, in occasione di
un pellegrinaggio a Loreto con il treno dell'Unitalsi sul quale
viaggiavano George Valentine Kerketta all'epoca giovane seminarista
indiano all'Istituto Teologico San Paolo di Catania e i Maugeri che
accompagnavano Giuseppe, disabile, nel viaggio di fede.
"Una simpatia e un'amicizia - spiega la mamma Antonella Spartà Maugeri
- nata subito: George, che per me è un figlio, studiava a Catania
lontano da casa e da allora è entrato a far parte della nostra
famiglia. Lo abbiamo anche aiutato economicamente, fino a quando è
diventato sacerdote e ci ha comunicato che non aveva più bisogno di
sostegno economico, invitandoci ad aiutare invece due giovani indiani
del suo villaggio. E così abbiamo fatto: abbiamo adottato a distanza
Thomas, che ora ha 15 anni e studia alla scuola superiore, e Rosan che
ha 19 anni, attualmente all'Università. Aiutiamo George anche nella
costruzione di una scuola elementare nel suo villaggio: adesso è quasi
completa, mancano soltanto le porte e l'intonaco. "Adottare" George è
stato un gesto di amore dal quale ho ricevuto immensamente di più.
Incontrarlo mi ha fatto infatti sentire più realizzata e più mamma:
quando ero in attesa di Giuseppe, dentro di me io ho offerto al Signore
questo figlio come missionario. Giuseppe, però, è nato disabile: la Madonna mi ha allora fatto incontrare George per coronare il mio sogno".
"All'epoca ero diacono - conferma padre George - e frequentavo il
penultimo hanno di studi teologici a Catania. Sono figlio di un povero
contadino e ho cinque fratelli: sono nato a Birta, villaggio della Diocesi di Simdega,
allevato da un'altra famiglia senza figli che mi ha consentito di
studiare. Dopo la scuola superiore, in me è nato il desiderio di
diventare sacerdote: ho pensato infatti che se mi fossi sposato, il mio
amore sarebbe stato limitato ad una famiglia, mentre come sacerdote
avrei potuto aiutare e dare gioia a tante persone. Man mano è poi
cresciuto anche il desiderio spirituale, la ricerca di Cristo, la
consapevolezza di vedere Cristo in ognuno dei fratelli. Dopo alcuni
anni di studio in India, il mio vescovo mi ha scelto per andare a
studiare in Italia. Ricordo che la mia vera madre vedendomi piangere
per la partenza mi ha detto: - Perchè sei triste? Nel mondo troverai
tante mamme. - E aveva ragione: qui in Italia ho trovato una mamma.
Adesso continuo a studiare a Roma e allo stesso tempo dò una mano in
una parrocchia a Cine Città, in attesa di tornare in India nel 2004."
Ma cosa le ha dato questa esperienza? "Mi ha insegnato - afferma padre
George - ad aprirmi verso gli altri: vedendo un'altra persona che mi
aiutava, è cresciuto in me il desiderio di aiutare gli altri".
Ed ora davanti a padre George si apre la "sfida" del ritorno in India:
"l'India vive due emergenze: l'educazione e la sanità. Stiamo
costruendo una scuola per i bambini del mio villaggio (la più vicina è
a tre chilometri, mentre per le superiori occorrono due ore di
viaggio). Un'altra emergenza è quella sanitaria, in un paese dove
ancora si muore per un semplice attacco di diarrea: in questo ambito la
chiesa Cattolica (i cristiani in India sono il 2,5% della popolazione)
è molto attiva, in ogni parrocchia esiste un piccolo dispensario, ma il
problema è che le parrocchie distano tra loro anche trenta chilometri.
C'è, insomma, tantissimo lavoro da fare, ma ormai ho imparato che un
piccolo gesto, un sorriso, può cambiare una vita, e può seminare tanta
gioia." Maria Ausilia Boemi
|